Qual è il vero valore del lusso?

di Elisabetta Cicigoi per Al Sharqa Al Thaqafia Magazine n. 82

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Le parole non sono solo forma, ma sostanza e possono avere un forte fascino attrattivo: il lusso è una di queste.

Da sempre emblema di opulenza, esclusività e raffinatezza il termine lusso viene accostato, spesso inappropriatamente, a situazioni, oggetti o luoghi solo per la forza attrattiva che esercita sulle persone.

Non a caso se digitiamo su Google la parola “luxury”, nella frazione di 0.42 secondi il motore di ricerca ci restituisce ben 2.030.000.000 di siti associati a questo termine. È evidente che solo una minima percentuale di questi siti parlerà effettivamente di lusso.

Ma come mai il lusso esercita un fascino così forte sulle persone?

La risposta è semplice: il lusso viene istintivamente associato alla ricchezza che è percepita quale simbolo di potere. Di conseguenza, lusso = potere.

Come ben teorizzato dall’antropologo Thorstein Veblen alla fine dell’800, la ricchezza rappresenta il livello più facilmente riconoscibile del successo, quindi, della popolarità[1].

E la teoria di Veblen è ancora oggi riconosciuta dalla sociologia moderna come valida e attuale.

Tuttavia, il lusso non è solo questo. È un concetto più complesso.

Associare il lusso semplicemente alla ricchezza, significa limitarne il valore ad una dimensione puramente economica, mentre il lusso sottende anche un valore “culturale” e “relazionale”.

Negli oggetti o nelle esperienze di lusso vengono in rilievo due componenti:

  • una componente economica, legata al concetto di scarsità e limitatezza, che inevitabilmente si riverbera sul valore del bene;
  • una componente culturale, correlata all’acquisizione di nuove esperienze, conoscenze e soprattutto relazioni.

Pertanto, intendere il lusso solo come espressione di un valore economico, significa limitare le sue potenzialità.

Il lusso, per essere realmente tale, deve essere inteso come un veicolo per aumentare la propria conoscenza, vivere esperienze esclusive e creare nuove relazioni.

In altre parole, il lusso deve offrire la possibilità di accumulare ciò che il sociologo Shamus Rahman Khan[2] definisce quale “capitale culturale”, ossia l’insieme di quelle conoscenze che solo le esperienze esclusive possono fornire.

Il capitale culturale non riguarda il bene materiale, ma ciò che di “immateriale” il bene può offrire.

Acquistare un tappeto prezioso ad un’asta o da un art dealer richiede senza dubbio un importante esborso economico, ma allo stesso tempo permette di acquistare un oggetto ricco di simbologie e significati culturali che, se conosciuti, contribuiscono ad accrescere la propria conoscenza. Senza considerare poi che possedere oggetti rari ti permette di entrare in una comunità costituita da persone aventi interessi simili (collezionisti, galleristi, commercianti d’arte, curatori di musei) e si sa che la comunanza di interessi rappresenta la base per la costruzione di relazioni.  E tutti siamo consapevoli che la capacità di costruire relazioni è fondamentale per il benessere delle persone e quindi della loro felicità.         O ancora, visitare un museo a porte chiuse, cioè privatamente con poche persone ammesse e accompagnati da una guida esperta, è certamente una esperienza esclusiva e costosa, ma il valore aggiunto che questa esperienza può offrire in termini di conoscenza o di creazione di nuove relazioni rappresenta un valore immateriale, che supera il prezzo stesso dell’esperienza.

Pertanto, il capitale culturale che si acquista attraverso il lusso rappresenta un valore ben superiore a quello economico, perché diventa parte del bagaglio di conoscenze di una persona, che si riverbera sul suo stile di vita e modo di comportarsi.

Il lusso permette, infatti, di apprendere anche quali debbano essere i gesti adeguati, quando ci si relaziona ad una esperienza o ad un oggetto di lusso, gesti che possono avere radici in credenze culturali, religiose o anche filosofiche.

Non a caso un antico motto inglese recita “manners maketh man” [3] per indicare che i nostri modi sono il riflesso di chi siamo, di come siamo stati educati e di quale retroterra culturale possediamo.

Pertanto, i nostri gesti sono rivelatori di quel bagaglio culturale che, anche attraverso il lusso, si è potuto accrescere.

Sempre secondo Thorstein Veblen i nostri comportamenti sono elementi immateriali che rivelano se conduciamo una vita “culturalmente” agiata. Ecco perché il lusso richiede la conoscenza di determinati modi o comunque permette di acquisirli, modi che io definisco “luxury manners”.

Se infatti la parola inglese “make” può essere tradotta con il significato di creare, ciò significa che i nostri modi definiscono la nostra persona, aggiungono quel tocco finale alla nostra personalità che diviene il nostro tratto distintivo.

Lo scrittore francese Honoré de Balzac, nella sua opera incompiuta Trattato sulla vita elegante, affermava che “non è sufficiente diventare o nascere ricchi per condurre una vita elegante: occorre averne il sentimento.

Ecco, credo che l’insieme di tutto questo possa definirsi lusso.

Pertanto, la prossima volta che ci viene offerta un’esperienza esclusiva o acquistiamo un bene lussuoso, non apprezziamo solo il bene in sé, ma soprattutto quanto esso può offrirci in termini di accrescimento della nostra conoscenza.

[1] Thorstein Veblen, The Theory of the leisure class, 1899

[2] Shamus Rahman Khan, The Sociology of Elites, The annual review of sociology, 2012

[3] New Oxford College è stata fondata nel XIV secolo e la frase “Manners makyth man” è il suo motto distintivo. Il proverbio esalta il valore delle buone maniere.

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